venerdì 28 novembre 2008

Eluana, l’a-teismo metodologico e la democrazia (presunta) liberale, nonchè il nichilismo della Chiesa cattolica

PREMESSA:
è un articolo che ho trovato sul blog del Dottor Faust e che ancora non ho letto del tutto, ma mi è parso interessante, mi riservo il diritto di dire la mia in fondo non appena avrò un attimo di calma.

Il caso di Eluana Englaro è l’ennesima prova che l’Italia è vittima di un grave deficit di laicità e di senso della democrazia.

Da una parte la Chiesa, dall’altra parte politici di ogni schieramento che si ispirano (o fingono di ispirarsi) a valori cristiani, per finire con i cosiddetti atei devoti che sostengono che lo Stato italiano debba legiferare come se Dio ci fosse, anche se non c’è (!).

In un bell’articolo comparso su Micromega di novembre, Paolo Flores d’Arcais prende le mosse dall’a-teismo, inteso non come negazione di Dio, ma come “sospensione momentanea della sua esistenza”, per rifondare i canoni della democrazia moderna.

A partire dal ‘600, quando le guerre tra regni cristiani (tutti presunti interpreti del vero) raggiunsero una gravità ed una vastità tali da minacciare l’esistenza di intere nazioni – solo nel ‘600, si formulò quel concetto che d’Arcais chiama “Etsi Deus non daretur”: come se Dio non ci fosse. Almeno nelle relazioni internazionali. Che poi, cristianamente parlando, sarebbe il “Non nominare il nome di Dio invano”.

E proprio questo principio, questo a-teismo metodologico, porta alla creazione di un sistema democratico solido, che tuteli ogni cittadino e che ne difenda e sostenga la libertà di coscienza e l’auto-determinazione (riconosciute, tra l’altro, a termine del Concilio Vaticano II, col documento “Dignitatis humanae”).

Qualcuno potrebbe obiettare (come l’arcivescovo di Firenze Bertori ha obiettato alla tenace e profonda filosofa, Roberta de Monticelli) che in questo caso (quando fosse concesso a tutti il diritto di esercitare liberamente la propria coscienza e di auto-determinarsi), dovremmo giustificare anche un omicida.

Ma, risponde esaustivamente la Monticelli, non sembra credibile e accettabile che l’azione illecita sia dettata da una lunga e meditata riflessione, insomma, conforme alla coscienza morale di chi compie questa azione (nella fattispecie, un omicidio). Sembra piuttosto che tale gesto sia frutto di una coscienza morale monca, isterilita, come sostengono anche Socrate, i platonici, i Padri della Chiesa, gli Scolastici, e perfino gli autori della Bibbia (“cuore duro”, “cecità”, “non sanno quel che fanno”).

Libertà di coscienza e di auto-determinazione, quindi. Che, guarda caso, sono alla base della democrazia liberale che si è affermata nell’Occidente, con buona pace dei presunti liberali italiani che difendono a spada tratta le posizioni della Chiesa e, quindi, il cosiddetto “diritto alla vita”.

Ma siamo sicuri che si tratti di diritto alla vita? Se il principio di auto-determinazione è valido, non si dovrebbe parlare di “diritto sulla propria vita”?

È proprio il “diritto sulla propria vita” una delle libertà inalienabili della democrazia liberale, libertà che, mi si perdoni l’eco cattolica, discende da quella di coscienza e di autodeterminazione.

Tutti diritti inalienabili che lo Stato deve, e non dovrebbe, garantire al cittadino, da un punto di vista positivo (promulgare determinate leggi) e negativo (rimuovere gli ostacoli all’eserczio di tali diritti).

Lo Stato non deve sostituirsi alla coscienza morale di ogni persona, infatti, ma deve permettere ad ogni individuo di esercitarla nei limiti in cui questo esercizio non è lesivo per gli altri.

Nel caso in cui un cittadino scelga coscientemente di rinunciare alla propria vita, poiché essa, in determinate situazioni, non è più degna (sempre secondo i canoni della propria libera coscienza) – in questo caso lo Stato deve assicurare a quel cittadino che quel “diritto sulla propria vita” venga tutelato.

E lo Stato lo fa attraverso il Sistema Sanitario, si badi, non attraverso i medici, che conservano la libertà di dissentire con determinate posizioni morali. Non c’è nient’altro da fare, se si accetta la democrazia liberale.

E non sono solo io a pensarlo.

Lo pensa anche uno stimatissimo (anche dal sottoscritto) teologo, Vito Mancuso, che dalle pagine del Corriere avverte che le Scritture, quindi la parola del Signore, sono impregnate dalla libertà individuale, dalla libertà di coscienza: le pecore si allontanano dal gregge, il figlio può andare via di casa, si possono perdere addirittura le monete.

Dio rispetta l’autodeterminazione dei singoli.

Se la vita è un dono, come sostengono tutti quelli che si scagliano contro la decisione della Cassazione, essa deve rimanere come tale.

In altri termini, per chi non lo vuole o non lo riconosce più, questo dono non può diventare un giogo.

***

Diventa allora lampante il vuoto legislativo di cui è vittima l’Italia, sotto questo punto di vista.

Una legge sul testamento biologico e sull’eutanasia è necessaria.

Ma anche qui c’è un rischio. Un rischio che deriva dalle premesse di questo articolo prese in prestito da Flores d’Arcais.

Ovvero che tra i legislatori valga il principio nichilista, imposto dalla Chiesa (!), del “Se Dio non c’è, tutto è permesso”. Che vuol dire, nella brutale ma sincera versione di Comunione e Liberazione: “Se non sei credente (nella fattispecie, cattolico), sei moralmente incompetente”. La conseguenza, citando la de Monticelli è che “io, Chiesa, dato che tu non hai legge morale, chiederò allo Stato di istituire norme giuridiche che sopperiscano alla tua incompetenza morale”.

La deriva nichilistica è ovvia: “Se Dio non c’è, dio sono io”.

Paola de Monticelli la chiama “auto-deificazione”. Quella stessa auto-deificazione imputata all’uomo moderno diventerebbe così fonte di legislazione, radicando lo Stato e le sue leggi in una confessione religiosa.

Se Dio non c’è, tutto è permesso. Come dire: se Dio non c’è, nulla ha più valore, positivo o negativo.

Ma il bene non è tale perché Dio lo vuole. Dio vuole il bene perché è bene, se c’è.

Non sarebbe ammissibile che, se Dio non ci fosse, il bene di un’infanzia felice, ad esempio, non restasse tale.

Paradossalmente, negare che ci sia una verità o una falsità accessibile alla sensibilità e alla ragione prettamente umane è quanto di più relativistico possa compiere un’istituzione anti-relativista come la Chiesa cattolica.

L’unico modo per contrastare questa auto-deificazione, quindi, è la presa di coscienza che solo l’a-teismo metodologico può garantire a tutti eguali diritti.

E magari restituire dignità a chi, ogni volta (Terry Schiavo, poi Piergiorgio Welby, oggi Eluana Englaro), diviene oggetto di un impietoso carnevale mediatico, quanto mai inopportuno e di cattivo gusto, se considerato in relazione alla morte, che rimane - comunque sia - un momento di massima serietà e profonda riflessione.

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